La produzione chetogenica: tra moda e rischi nascosti

L’onda della dieta chetogenica ha travolto il mercato alimentare.

Ovunque spuntano prodotti dichiarati “keto-friendly”, proposti da panifici, pasticcerie, ristoranti e perfino gelaterie. Sulla carta, l’idea è allettante: mangiare pane, pasta e dolci senza uscire dalla chetosi. Ma c’è un problema—anzi, più di uno.

La produzione alimentare chetogenica non è un semplice gioco di sostituzioni. Non basta togliere la farina e usare fibre o proteine per ottenere lo stesso risultato. Ci sono complessità tecnologiche che chi si improvvisa produttore ignora del tutto, e questo solleva un interrogativo cruciale: quanti di questi prodotti sono davvero chetogenici e quanti, invece, rischiano di essere solo un’illusione ben confezionata?

 

Non bastano farine alternative e fibre

Chiunque abbia provato a impastare farine alternative sa bene quanto sia difficile ottenere una struttura stabile. Le proteine e le fibre non si comportano come gli amidi, e senza tecnologie specifiche è impossibile replicare la texture e la lavorabilità degli impasti tradizionali.

Eppure, alcuni panifici artigianali pretendono di sfornare quotidianamente pane e dolci “chetogenici”, senza alcuna attrezzatura adatta. Ma con quali risultati? Se il prodotto si sfalda facilmente, se risulta gommoso o troppo secco, è probabile che la formulazione non sia stata studiata con la giusta competenza e spesso viene “tagliata” con farine tradizionali.

E il problema non è solo organolettico. Senza un controllo rigoroso sulla reologia degli impasti e sui processi di produzione, il rischio è che alcuni ingredienti si trasformino durante la lavorazione, rendendo il prodotto finale ben diverso da ciò che l’etichetta promette.

 

L’Amido resistente: una promessa messa alla prova

Uno degli ingredienti più utilizzati nei prodotti keto commerciali è l’amido resistente (RS), spesso venduto come privo di impatto glicemico (vedi approfondimento).

Ma è davvero così? Dipende.

L’amido resistente esiste in diverse forme e la sua stabilità non è garantita dopo la lavorazione industriale. Alcuni tipi perdono la loro resistenza alla digestione se macinati troppo finemente o se sottoposti a temperature elevate.

Eppure, nessuno si preoccupa di verificarlo. Quanti produttori testano i loro prodotti dopo la lavorazione? Se l’amido perde la sua resistenza, il consumatore assume inconsapevolmente carboidrati digeribili. E addio chetosi.

 

L’inulina: davvero innocua?

Altro ingrediente di moda nei prodotti chetogenici: l’inulina. La si trova nei biscotti, nei gelati, nei dolci.

In teoria, è una fibra prebiotica benefica. In pratica, potrebbe essere un cavallo di Troia per la chetosi.

L’inulina, in ambiente acido—cioè nello stomaco—può idrolizzarsi in fruttosio. E il fruttosio, una volta assorbito, può interferire con la chetogenesi, deviando il metabolismo epatico e favorendo la lipogenesi (vedi articolo)

Di questo, però, nessuno parla. Nei prodotti chetogenici non si trova scritto quale inulina è stata usata, né se la sua stabilità sia stata testata. Quanto fruttosio viene effettivamente liberato? Nessuno lo sa.

 

Maltitolo: il dolcificante frainteso

Il maltitolo è un altro grande inganno della produzione chetogenica. È un poliolo, sì, ma non tutti i polioli sono uguali.

Il maltitolo ha un indice glicemico variabile tra 35 e 52, a seconda della forma (polvere o sciroppo). In altre parole, ha un impatto metabolico ben più significativo di quanto si voglia far credere.

Molti prodotti “senza zucchero” lo contengono, ma chi segue la chetogenica per ragioni terapeutiche dovrebbe evitarlo del tutto. Il problema? Spesso non è dichiarato chiaramente in etichetta, perché rientra sotto la generica dicitura “polioli”.

Quindi, quando un prodotto keto è dolce ma non contiene eritritolo, bisognerebbe chiedersi: che dolcificante è stato usato davvero?

 

Etichette teoriche, ma dati realmente verificati?

E qui arriviamo al cuore della questione: quanti produttori di alimenti chetogenici hanno un laboratorio di analisi?

Dichiarare un prodotto “chetogenico” senza testarlo significa fidarsi ciecamente delle materie prime, senza verificare cosa accade dopo la lavorazione. Ma la composizione nutrizionale può cambiare, e senza controlli adeguati, l’etichetta rischia di essere pura teoria.

Un’azienda che produce veri alimenti chetogenici dovrebbe:

  • Analizzare le materie prime per verificare l’assenza di zuccheri nascosti.
  • Testare i prodotti finiti per confermare che la composizione dichiarata sia reale.
  • Ottenere certificazioni indipendenti, anziché basarsi su dati presunti.

Eppure, molti produttori non fanno nulla di tutto questo. Lavorano “a sentimento”, fidandosi della scheda tecnica degli ingredienti e senza un vero controllo sul prodotto finito. Il risultato? Etichette teoriche, ma prodotti che potrebbero non essere affatto chetogenici.

 

Moda o serietà?

Il boom della produzione chetogenica ha dato spazio a improvvisazioni pericolose. Alcuni produttori hanno studiato, investito in ricerca, analizzato ogni dettaglio. Altri, invece, si sono lanciati sul mercato senza le competenze necessarie, con il solo obiettivo di cavalcare un trend.

Ma una dieta chetogenica non è solo una moda. Per chi la segue per motivi di salute, affidarsi a prodotti mal formulati può avere conseguenze serie.

Se un’azienda non ha le competenze tecnologiche per lavorare fibre e proteine, se non dispone di un laboratorio di analisi, se non pubblica test reali sui suoi prodotti, allora è legittimo chiedersi: quei prodotti sono davvero chetogenici o è solo marketing?